Le figure manieriste e contorte opera dei fratelli Campi decorano le pareti e la volta della Chiesa di San Paolo Converso (sconsacrata ed adibita a spazio espositivo) che accoglie le opere di Salvador Dalì (Figueras, 1904 – 1989): solo grafica e scultura, questa volta. Sarà la suggestione del luogo o forse la malinconica musica catalana in sottofondo, ma l’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un Dalì diverso, meno sfacciato ed egocentrico, eccessivo ed arrogante.
Sebbene nel 2004 si sia parlato molto di Dalì in occasione del centenario della nascita, la mostra organizzata dalla Fondazione Metropolitan riesce ad aggiungere qualcosa di nuovo svelando un aspetto meno noto dell’immensa produzione dello stravagante artista catalano. Che fu pittore e scenografo scultore e designer incisore e abilissimo disegnatore.
Le opere in mostra appartengono alla maturità dell’artista, tutte successive – con poche eccezioni – alla fine degli anni Sessanta. Non mancano i temi caratteristici dell’arte daliniana, il gioco delle trasformazioni surrealiste (in mostra Dragon-Cisne-Elefante, una “scultura palindroma” un cigno che rovesciato diventa un elefante), l’accostamento apparentemente casuale e assurdo di oggetti diversi, il gusto per il paradosso e il pensiero metafisico. Nella scultura Mujer desnuda subiendo la escalera una figura sottile di donna (forse la solita Gala, moglie-musa di tutta la vita) sale lentamente non una scala, ma un’ammonite, la conchiglia a spirale simbolo dell’infinito rincorrersi del tempo.
Tutte le sculture in esposizione (bronzi fusi a cera persa, non tutte ugualmente interessanti) provengono dalla collezione Clot e Reynolds Morse: in un saggio in catalogo si evidenzia come queste siano opere originali dell’artista, plasmate direttamente da lui; spesso invece Dalì trasformava in una creazione estrosa e personale oggetti realizzati da altri.
Molte delle opere di grafica esposte sono illustrazioni di testi letterari, che mostrano un Dalì riflessivo a tratti malinconico. Nelle illustrazioni di Le Tricorne un asino scheletrico, simbolo della miseria del popolo spagnolo percorre le strade della Spagna bruciate dal sole; sui muri bianchi delle case cose e persone proiettano lunghe ombre inquietanti. Il segno graffiante e la fantasia esuberante delle opere più note sono qui utilizzati da Dalì per commuovere più che per stupire lo spettatore. Anche quando, nell’illustrare le avventure strampalate di Gargantua e Pantagruel, l’artista potrebbe dar libero sfogo alla sua eccentrica fantasia, la Fondazione Metropolitan ci presenta un Dalì inaspettato che per raffigurare mostri e bizzarrie attinge al ‘repertorio classico’ di Hieronymus Bosch. Sono geniali creazioni surrealiste le litografie dedicate al Faust.
Ma la vera sorpresa sono le pagine che illustrano il Pater Noster (molto suggestive, che con ottima scelta del tema aprono l’esposizione in San Paolo Converso) e la Sacra Bibbia. Si scopre un artista meditativo, quasi mistico. Molto intenso il profilo nero di Abramo che si staglia su una pagina riempita di colori soffusi e l’illustrazione del discorso sulla montagna nella quale la figura di Cristo, tutta giocata sui toni del giallo e del blu è illuminata da un fascio di luce chiara. Nelle litografie della Bibbia le emozioni sono tutte affidate ai colori che non sono smaltati e piatti come quelli delle pitture ad olio dell’artista catalano, ma macchie sfumate di colore oppure energici effetti di dripping che esplodono e si combinano dando forma alle cose. Sullo sfondo un segno grafico potente, con il quale Dalì si conferma grandissimo disegnatore.
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