La pietra da cantoni racconta l’ineluttabilità del tempo. Dove preistorici pesci sguazzavano in acque placide, oggi si distende un mare di verdi colline. Il Monferrato è figlio di grandi mutamenti: quelli distruttivi delle catene montuose, quelli dirompenti di fondali che emersero e si reinabissarono, quelli pazienti degli innumerevoli animali e piante marini che dal Miocene, venti milioni di anni fa, iniziarono a colonizzare questo territorio.
Passarono gli anni – milioni! – e quella che oggi conosciamo come «pietra da cantoni», una marna che qualcuno chiama impropriamente tufo, andò lentamente formandosi, acquistando le caratteristiche e i colori della mutevolezza. Lavorata in grossi blocchi squadrati – in dialetto i «cantòn» – è stata a lungo utilizzata in edilizia. Dove il mare era meno profondo, come nei paesi monferrini di Rosignano, Terruggia, Cella Monte, Ottiglio e Moleto, i sedimenti erano più ricchi in carbonato di calcio ed i cantoni dal colore giallastro appaiono più resistenti. Nella zona che corrisponde alla Valcerrina, i cantoni sono di colore grigio chiaro o azzurro, perché il mare era più profondo e risulta più alta la percentuale di argilla. Passeggiando per i centri storici o nella campagna, non è difficile scorgere i cantoni sotto l’intonaco di case e rustici. Così come nascosti alla vista, ma tanto importanti da aver fatto meritare a questo angolo di Piemonte il riconoscimento Unesco, sono gli Infernot scavati nei sotterranei dai contadini per conservare il vino.
La presenza di questa pietra connota il paesaggio monferrino ed è raccontata dall’omonimo Ecomuseo, che ha sede a Cella Monte dal 2003. Artisti monferrini come Giorgio Cavallone l’hanno rigenerata facendone figure di anamorfic art, volti e corpi che paiono provenire da tempi remoti, mentre Francesco Bodo ne evidenzia l’eternità in delicati presepi e sculture. Ma la pietra da cantoni sta vivendo una nuova primavera grazie ad alcuni artigiani che hanno deciso di esplorarne le potenzialità, abbinando utilità ed estetica.
Uno di questi è Gianmaria Sab atini che, dai lavori di ristrutturazione in bioedilizia e dal recupero dei materiali da costruzione antichi, con acume artistico nel 2000 inizia a sperimentare con il cotto vecchio e la pietra da cantoni ed arriva a creare «Rustico con grazia», una linea di prodotti dove questi materiali vengono trasformati in mosaici. «Taglio la pietra da cantoni manualmente – racconta Gianmaria – Ne ricavo fette di vario spessore, anche molto sottili, che poi vado a comporre in mosaico posizionandole, per contrastarne la fragilità, su un supporto, che può essere legno o cemento armato a seconda della sua destinazione interna o esterna».
Sabatini realizza decorazioni su muri, orologi, insegne, vassoi, scatole, appendiabiti, lavandini, specchi, pannelli decorativi, ripiani per tavoli e tutto ciò che la duttilità del materiale gli consente. La sua attività, Antica Edilizia, ha sede a Olivola e ha ottenuto il marchio di eccellenza artigiana della Regione Piemonte. «Mi sento un pioniere – confessa – Questi materiali rappresentano la nostra identità territoriale e io lavoro per farli conoscere ed apprezzare dal pubblico».
Un sentimento condiviso da Stefania Baroso di Rosignano, la cui attività ha una storia più recente ma altrettanto intensa. «Mi sento testimone di qualcosa di importante. Sono un’autodidatta e la mia è una passione che nasce nel passato. Quando ero una bambina – ricorda – la mia famiglia aveva una casa a Lu Monferrato dove trascorrevo l’estate cercando conchiglie fossili». Passano gli anni, Stefania asseconda la sua vena creativa nel tempo libero frequentando alcuni corsi di intaglio del legno in Valle d’Aosta. «Mi dissero che ero brava – ricorda – ma io non ero soddisfatta perché sentivo che dovevo trovare una mia via». Nel 2013 resta ferma alcuni mesi per una malattia e per passare il tempo decide di provare a lavorare la pietra da cantoni. Non ha più smesso.
Con sega e cartavetro, e tanta pazienza, stonda la pietra, che recupera in giro visto che le cave sono inesorabilmente chiuse, e la trasforma in bassorielivi dai richiami celtici, in piccoli oggetti, in gioielli. «Per ora è un hobby – conclude – ma vorrei farne un lavoro. I miei gufi portano in giro il nome del Monferrato. Sarebbe bello che i lavori in pietra da cantoni diventassero prodotti artigianali tipici del territorio, così che chi visita le nostre colline possa portarsi a casa un pezzo di quel grande mare che fu il Monferrato».
Articolo tratto da La Stampa del 02/03/2018