Imprenditore industrializza il settore con un’azienda a “economia circolare”
L’idea tradizionale è che allevare le capre sia conveniente solo su terreni residuali, impervi: gli animali brucano quel che c’è, fertilizzano, insomma hanno costi minimi a parte il lavoro di chi le accudisce. Il latte serve di solito a piccole produzioni artigianali di formaggi. Ma guardando la tenuta San Martino, tra Occimiano e Borgo San Martino, si entra nella dimensione industriale: «Fra questa tenuta e una stalla più piccola Lu – dice Signorini – abbiamo circa 2000 capi, 800 già in produzione, altri 500 l’anno prossimo. Abbiamo scelto una razza del Nord Europa per le sue caratteristiche, ma facendola riprodurre qui potremo avere tra un po’ una capra geneticamente monferrina in tutto e per tutto».
Ma tutto questo latte (siamo oltre i 600 litri annui ad animale) per farne che? Signorini ha pensato anche a questo: «Ci siamo collegati con la grande distribuzione, non dimentichiamo che il latte di capra è il più adatto in caso d’intolleranze, e con l’industria di trasformazione». Ad esempio l’Igor di Novara produce un tipo di gorgonzola, il Blu di capra, con il latte della San Martino. Il vero cuore dell’impresa è comunque il biodigestore: «La nostra economia è circolare: quello che coltiviamo nei campi (circa 400 ettari, di proprietà e in affitto) finisce come mangime per le capre oppure nell’impianto “digestivo” che lavora anche gli scarti delle stalle. Produce biogas che aziona un generatore elettrico da un megawatt: parte dell’elettricità serve a noi, parte la vendiamo. Poi il digestato e i separati soliti vengono usati per concimare i campi, così il ciclo si chiude».
Ma Signorini non si ferma qui: «La carne e le pelli dei capi usciti dalla produzione possono essere riutilizzate». Hanno già realizzato una specie di raviolo, denominato «Caprolotto» (il Festival del Raviolotto di Alessandria evidentemente comincia a far scuola) e si sono affidati a una conceria per creare materia prima utile in abbigliamento o in arredamento: «La pelle ottenuta è morbidissima, la nuova sfida è dare vita a un’azienda artigianale-agricola».
Idee a ripetizione per che cosa? «Ho iniziato quest’attività perché secondo me dopo l’abbandono dell’industria, zone come il Monferrato devono ripartire dall’agricoltura, dall’allevamento che non sono mai venuti meno. Ovviamente sfruttando le nuove tecnologie e adottando processi che consentano di affrontare il mercato globale. La San Martino vuole essere un modello replicabile altrove, come un’app. E anche uno stimolo, perché in questa zona penso sia venuta un po’ a mancare l’imprenditorialità. Quindi ai giovani che lavorano qui (sono una decina, sotto i 35 anni) vorrei non soltanto insegnare il mestiere ma anche comunicare lo spirito imprenditoriale, perché domani siano loro a guidare questa o altre aziende». Soprattutto trasmettendo l’entusiasmo di un manager che non risente dell’età.
PIERO BOTTINO